La rivelazione del fine-dining DIY, che celebra comfort & agricoltura
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Alberto Blasetti
RETRO-DELIVERY
L’appetito, dicono, vien mangiando; in questo frangente temporale, anche solo sfogliando i menu di offerte Delivery online. Seguendo in parte questa logica ci siamo orientati io e il prode fotografo Blasetti per soverchiare l’apparato di ristorazione a domicilio romana, in tempi pandemici. Ma in alcuni casi – come questo – l’etica e la voglia di far sistema batte l’appetito in una singola ripresa sul ring delle priorità. La realtà di Retrobottega non necessita eccessivi cappelli introduttivi, in quanto fenomeno (sano) di successo mediatico/imprenditoriale since 2015 nella scena di Roma. Collocato nel centralissimo quadrilatero che convoglia luoghi di culto come il Pantheon e Piazza Navona. I due fautori del progetto – Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice – oltre a essere cuochi di vaglia con esperienze autorevoli alle spalle (mixando il CV di entrambi, tra Berlino, New York e un Piazza Duomo di Alba, il loro incontro professionale trova fulcro nelle cucine del Pagliaccio di Anthony Genovese), hanno il merito di essersi imposti da sempre nella capitale, con un carattere di offerta estremamente personale e scevro da chissà quale schema velleitario. Sin dalla bozza embrionale del primo ristorante proto-industrial: aperto tutto il giorno, con servizio delegato al cliente, bancone dominante dai rimandi nipponici e pietanze fortemente incentrate sull’arte del recupero.
Mutando rapidamente, ma con raziocinio e coerenza, in un locale che allinea fine-dining e informalità attraverso un approccio vincente. Fino all’attuale forma di un Retrobottega battezzato 3.0 in cui l’ambiente minimale e materico, pone sempre grande attenzione all’esperienza del banco (con il gusto in primo piano) e alla lettura intercambiabile dei comparti di cucina/servizio. Lasciando però emergere, come elemento trainante, la cura spasmodica nella ricerca di ingredienti agricoli di artigiani locali/italiani (insieme al processo sentito di foraging e di trasformazione a 360° degli ingredienti vegetali). Un modello di neo-ristorazione autarchica. Spalmata lungo attività satelliti, nel medesimo contenitore-ammiraglio. RetroPasta (per l’autoproduzione di pasta fresca, all’uovo e ripiena dal laboratorio privato); RetroVino (per un concept immediato e forbito di enotavola con mescita/vendita di etichette, conserve, fermentati e snack di rango). RetroPane & RetroDelivery, come appendici fioccate spontaneamente delle esigenze odierne, ma già componenti integranti e integrate nel processo evolutivo dell’organismo di Retrobottega. Un prolungamento espressivo del supporto virtuoso già instaurato con fornitori/piccoli produttori di qualità, che ha raggiunto mirabile incastro con tutti i canali messi in campo da Miocchi e Lo Iudice. Inizialmente una ghiotta scaletta di panini, fritti, piatti pronti, insalate e dolci, che poi hanno trovato autonomamente un’ulteriore veste applicativa, più conforme all’identità del duo. Perché, come specificano entrambi.
“Non eravamo soddisfatti della resa di gusto e temperature delle nostre prime preparazioni in Delivery. Inoltre era un format che non ci rispecchiava del tutto”. Dunque la linea ha assunto nuove rotte: un box vegetale (grande e piccolo) che raggruppa varietà ortofrutticole biologiche raccolte secondo reperibilità stagionale ed etica (con possibilità di aggiungere pane homemade, carni, uova e formaggi scelti secondo medesima filosofia). E ancora la novità: una gamma di ricette componibili (che attingono linfa materica dalle diverse entità di Retro) studiate al cesello per essere rigenerate, assemblate e impiattate in contesto domestico. Come se fossero cucinate espresse, in massimo 3 passaggi “a prova di idiota”. Una piccola rivoluzione che ha lasciato me e Blasetti letteralmente a bocca aperta. Non solo per la resa gustativa degli assaggi, ma anche per l’immediatezza, la replicabilità e le proporzioni dettagliate con cui ogni pietanza è stata confezionata per l’uso. Un progetto che può esercitare una grande risorsa: ordinabile a casa anche al di fuori da questo momento critico (pensiamo a salva-cene conviviali per i non avvezzi ai fornelli) e che riassume/completa con spessore ideologico tutti gli organismi sviluppati negli anni dal team di Alessandro e Giuseppe. Tutelando un mood ricercato, ma ultra pop e godereccio fuori misura.
Quando/come avete deciso di scegliere e di impostare l’offerta del Delivery in questa situazione di quarantena? Era già una formula aderente alla vostra offerta? Esistevano delle criticità da affrontare?
Quando è partita la quarantena, per non bloccarci e poi in corso d’opera abbiamo capito che il delivery aveva migliaia di sfaccettature con cui poter fare tante cose interessanti che adesso stiamo prendendo in considerazione e stiamo facendo ed evolvendo. Abbiamo iniziato con panini e pasta cotta e adesso dopo il box vegetale, stiamo arrivando a piatti simili al ristorante che però il cliente deve ultimare a casa, che stiamo già preparando. Le criticità sono tantissime, è quasi tutta logistica, bisogna essere precisissimi e dettagliati, senza perdersi nulla per strada, e l’abbiamo voluto impostare con un contatto diretto con il cliente, attraverso un numero whatsapp dove si dialoga come se si stesse al tavolo di un ristorante, quando parli con il cliente per capire le sue esigenze e in che direzione vuole andare e che cosa vorrebbe mangiare. Ognuno ha un ruolo, chi prende la comanda, chi confeziona la spesa, chi controlla tutto e chi consegna.
Necessità e virtù: salvaguardia e promozione di piccoli produttori, attraverso resistenza lavorativa e culinaria: tratti che si posizionano alla base del vostro delivery. Come è stato attuare una selezione di ingredienti e settare i vari box e la linea di assaggi take away? Che coordinamento e manodopera avvengono nelle retrovie di questa situazione particolare?
L’idea era di portare tutti i produttori con cui abbiamo già lavorato in passato che ci hanno dato fiducia col ristorante, quindi ci siamo rivolti a loro. Anche perché il delivery deve rispecchiare la nostra identità, se abbiamo sempre usato certi ingredienti non ha senso utilizzare materie prime non selezionate o utilizzare frutta e verdura non di stagione.
Piatti pronti da comporre e rigenerare a casa. Poi anche una vera e propria spesa etica/agricola. Come avete studiato i diversi formati/pacchi e il modo di servirli? Raccontateci brevemente il processo che ha dato corpo all’idea e la sua consequenziale evoluzione nel pratico.
In quarantena abbiamo studiato il tutto con ciò che c’è a disposizione, anche sul packaging non ci siamo potuti inventare chissà che cosa perché i fornitori che li producono sono quasi tutti chiusi. Qualcuno è aperto, ma per molte cose stiamo cercando di arrangiarci nel miglior modo possibile, cercando di avere qualcosa che rispecchi un po’ noi, sia esteticamente che come filosofia. La nostra start up è nata in quarantena quindi non abbiamo avuto la possibilità di scegliere e fare uno studio accurato sull’immagine purtroppo. È una cosa in divenire e si evolverà sicuramente. La nostra fortuna è che avevamo già il pastificio, e tanti materiali già a disposizione.
Che sistema di Delivery utilizzate? Quali piattaforme consigliate? Coprite l’intero perimetro di Roma?
Abbiamo iniziato con delle piattaforme Uber, Glovo e così via sulla città di Roma, poi consegnando noi, con l’ambizione di riuscire ad arrivare a consegnare entro 24/36 ore in tutta Italia.
Metodo di conservazione, packaging, consegna. Come lo avete pensato?
I metodi di conservazione sono gli stessi che avevamo già al ristorante, quindi tutto sotto vuoto e pastorizzato, i nostri sono prodotti che hanno una scadenza breve perché non abbiamo le autorizzazioni per prodotti con scadenza lunga: la nostra licenza di laboratorio ci permette solo di dare una scadenza breve, vendiamo un prodotto fresco, lavorato e trasformato qui da noi, viene messo sottovuoto se serve e inscatolato nel packaging più adatto e tutti gli elementi del kit del piatto vanno in un box che poi viene consegnato al cliente e al cliente viene consigliato di mangiare le cose fresche.
È semplice mantenere il vostro stile e la vostra filosofia di cucina anche in questo formato? Avvertite differenze o difficoltà rispetto il vostro lavoro usuale?
Il nostro stile di cucina è sempre quello anche nel delivery, i prodotti che lo ispirano sono gli stessi, ma in questo caso c’è anche tanto input da parte del cliente, perché le cose arrivano semi lavorate, il piatto non sarà mai identico a come lo facciamo noi, ma non è nemmeno quello che vogliamo: noi vogliamo offrire prodotti di qualità, che tu ti puoi gestire nel miglior modo possibile, il delivery deve essere un servizio. Naturalmente gli ingredienti fanno la differenza e rispecchiano la nostra identità.
La clientela sta rispondendo bene? Da quali zone di Roma arrivano più ordini?
La clientela sta rispondendo bene, gli ordini arrivano più o meno da tutta Roma, non c’è un quartiere che ordina di più e uno che ordina di meno. Arrivano ordini misti, sia frutta e verdura, ma anche chi ordina anche carne, o salumi o formaggi… il nostro è un servizio di spesa a casa, che comprende praticamente tutto, e che resterà con i prodotti che noi usiamo sempre, a questo però si andrà ad aggiungere un menu di piatti da ultimare, come dei piccoli kit.
È una forma di attività sostenibile per lavorare in questo momento critico per tutti? La ristorazione può farci affidamento?
È una cosa sostenibilissima, ma bisogna stare molto attenti perché il margine è molto diverso rispetto alla ristorazione, ad esempio nel comprare e rivendere senza manipolare (come avviene invece al ristorante) c’è un margine molto più basso. Per questo vorremmo aggiungere un semilavorato, che ci permetterebbe un aumento di un minimo di margine, cosa che ci farebbe lavorare più serenamente sul delivery-spesa. Questo crediamo che sia il futuro, ma non è certamente fare ristorazione, fare delivery come lo stiamo impostando noi non significa fare ristorazione, appena finirà la quarantena, riprenderemo a farla, ma in questo momento ci siamo impegnati e portati avanti in qualcosa che funziona e che in tanti Paesi del mondo lo fa molto bene e che vogliamo continuare.
Quali sono i consigli e i tempi per consumare al meglio le pietanze e i prodotti che selezionate? Avete predisposto delle indicazioni per indirizzare i consumatori?
Il nostro non è voler portare un piatto a casa uguale a quello che si cucina al ristorante, il nostro è un servizio in cui viene portato a casa un pasto semi pronto e il cliente ha la possibilità di farsi uno o più piatti con ingredienti di eccellenza che useremmo noi, per aiutarlo a prepararsi il pasto a casa, carichiamo per ogni piatto delle stories su Instagram, sul profilo Retro Delivery, mettiamo in evidenza le preparazione di tutti i piatti come esempio, ma anche via whatsapp i clienti ci chiedono consigli a cui rispondiamo, spesso diamo anche consigli sui vegetali inseriti nel box, su come utilizzare parti che di solito non vengono utilizzate, come nel caso del cipollotto fresco, la cui parte verde viene spesso ignorata, ma che noi consigliamo come materia prima per un’ottima frittata, ad esempio…o piuttosto come condire il pollo intero, c’è un interazione col cliente che è grande ed è una cosa molto bella. Le ricette sono semplici, pensate per essere realizzate con strumentazioni e attrezzature che tutti hanno normalmente a casa.
Leggo di una partnership con Roscioli legata al menu di Pasqua: un bel modo di fare sistema con realtà affini per rafforzare il timbro delle proposte. Ci accennate come è nata? Vi sentite vicini e legati ad altre realtà che stanno facendo Delivery?
Il rapporto con Roscioli è nato soprattutto dalla vicinanza e in un momento di crisi, che deve servire a creare rete, a essere uniti e forti per superare questo momento difficile. Noi abbiamo un listino molto ampio, che è di frutta verdura e tante altre cose, ma su altre non arriviamo, quindi perché non dovrei dare lavoro a chi mi sta vicino? Roscioli ha una selezione fantastica di salumi, formaggi e tanti altre cose e se qualcuno vuole fare la spesa da me e vuole aggiungerli, io gli do la possibilità di approfittare della selezione Roscioli. Naturalmente nella spesa ci saranno i loghi di entrambi i partner, è importantissimo rafforzare legami e fare rete in momenti come questi.
Siete fiduciosi per la ripresa della ristorazione romana e italiana dopo la quarantena? Pensate che la rete di delivery avrà respiro maggiore e continuativo dopo questo momento storico?
Noi crediamo che la ristorazione post quarantena riprenderà, magari con qualche difficoltà, ma non è una guerra che ha piegato a 360 gradi ogni settore, è vero che ci sono tantissime realtà bloccate, che fanno fatica, ma è anche vero che ci sono tante realtà chiuse in casa che stanno continuando a lavorare e non vedono l’ora di uscire per spendere i loro soldi. Bisogna farsi trovare pronti non appena si potrà ripartire, così si ha la possibilità di rimettersi subito in gioco. Per quanto riguarda il delivery, secondo me è diverso, sono due mondi separati, due lavori diversi. Chi fa ristorazione ha la possibilità di convertirsi leggermente nel delivery, però bisogno farlo nella maniera migliore possibile, far un piatto di pasta qui e poi mandarlo cotto a casa di qualcuno una volta ti va bene, un’altra anche, ma la terza magari no, è un settore molto bello ma anche molto difficile. Io credo che la ristorazione stia avendo una crisi fortissima ma che si riprenderà alla grande.
DELIVERY REPORT – EPISODIO 2
Il ruggito del citofono combacia con due istantanee in sequenza, colme di commozione e umanità. Un Giuseppe Lo Iudice con fiatone e mascherina di ordinanza, che si è stoicamente incollato gli scatoloni delle consegne per due rampe di scale sino alla mia porta. E il consequenziale unboxing dalla portata paradisiaca. Che m’impone a chiamare subito con entusiasmo la mia controparte fotografica.
Io: “Alb, ho le convulsioni. Hai visto quanta roba bellissima? Frutta e verdura per sfamare una guarnigione. Il pane è ancora caldo nel suo sacchetto. I grissini, quelle radiose focaccine. E poi hai dato un’occhiata al packaging e alle ricette che ci hanno mandato? Assurdo. Non saprei da dove partire. Non nego che un tarallo sugna e pepe me lo sono già scofanato mentre scaravoltavo le buste”.
Alberto: “Caspita si. Anch’io sto fremendo di fronte a questo be di Dio. Appena ho estratto il sottovuoto con i fagioli all’uccelletto ho avuto un’ispirazione netta sul come scattare. Darei un taglio molto pop, in stile 60’s casalingo del benessere familiare. Un timbro d’immagine invitante e domestica, ma anche discretamente glam e raffinata nella sua composizione. Che trasudi abbondanza alla vista, ma anche un ordine di pulizia che denoti l’idea di cucinare con preparazioni che non ti fanno sporcare troppo le mani. Che ne dici?”
Io: “Una bomba. Anche perché se leggi le istruzioni per l’uso comprendi subito la fruibilità di questi piatti. Anche uno che non ha mai impugnato una padella può portare a casa il risultato. Una figata pazzesca. Con ricette super godibili poi! Leggo tortellini con la panna, vitello tonnato, hamburger. Insomma il comfort food vestito in pompa magna, con ingredienti di cristo e una super logica di sapori orchestrati in background”.
Alberto: “Proprio così. E non nego che se mai volessi prepararmi una cena per amici senza troppi sbattimenti, non esiterei a ordinarmi una serie di piatti anche con qualche giorno in anticipo. Successo assicurato in poche mosse elementari”.
Io: “Vabbe dai, allora cominciamo a programmare. Che sto a morì di fame. Io andrei per categorie. Tocca ritrarre il tripudio di frutta e verdure sicuro. Ma anche la batteria di snack del comparto RetroPane. Aggiorniamoci in sincro sulle mosse che fai mentre cucini e su come impiatti. Poi facciamo anche a gara di chi le serve meglio. Tanto lo so che vinci te. E non ti finire subito la salsa tonnata col pane”.
Alberto: “Troppo tardi. Ma lo consiglio vivamente se mai avanzasse. È buona da matti”.
Tortellini panna, piselli e pastrami: dagli anni 80 con furore, ma con nuances evolutive che non sottraggono un grammo di appagamento all’immaginario degli scalda muscoli e dei capelli cotonati dell’epoca. RetroBottega ha però sintetizzato una nuova sostanza assuefacente da questo revival gastronomico. Il kit – perfettamente bilanciato e suddiviso nelle apposite bustine – propone il quid del pastrami homemade in virtù del canonico prosciutto cotto. Oltre a piselli bio dai cromatismi brillanti, conditi con perizia e già pronti all’uso. A voi non resta che cuocere per tre minuti di orologio i tortellini classici (ripieno di foggia emiliana) in abbondante acqua salata. Per poi scolarli e lasciarli tuffare in una piscina olimpionica di panna ridotta in dotazione. Adagiata in padella per essere scaldata e ristretta a dovere, finché non avrà ghermito la pasta ripiena in un abbraccio avvolgente e passionale. Il consiglio è di tostare leggermente il pastrami in un’altra padella prima di unirlo al trionfo di pasta, panna e piselli scolati dal liquido di conserva. Io, nell’impeto famelico, mi sono scordato di farlo nella prima mandata di assaggio e posso assicurarne comunque l’estrema bontà (il pastrami è già cotto). Blasetti vince insospettabilmente il primo round ai fornelli. Ma il premio arriva a entrambi, assaporando badilate vintage d’elite. Che sommano finezza e opulenza con equilibrio maestoso.
RetroBurger: risolvere ogni dubbio culinario è la costante del modello RetroDelivery. Tutto è spiegato chiaramente nei manuali cartacei associati a ogni ricetta (a breve stanno architettando dei video-tutorial Instagram con l’esecuzione descritta step by step dai cuochi nelle proprie case). Io e Alberto scopriamo così che basta una comune padella anti-aderente e un forno preriscaldato per tramutarci in provetti paninari-gourmet. Il bun-maritozzo realizzato dalla squadra di Retro sprigiona note dolci e morbidezze lipidiche che si riattivano in pochi minuti di calore a 180 gradi. L’hamburger (condito e speziato a puntino, con verve aromatica da drive in USA di lusso) è pronto al sangue con una scottata di 3 minuti scarsi per lato. Modellati al millimetro i condimenti: insalata di misticanza freschissima, pomodori secchi sott’olio dalla dolcezza sconvolgente e una maionese in stile Caesar dressing che sostituisce alla grande l’assenza del comune formaggio fuso. L’esito dell’assaggio scatena reazioni voraci. Perché riesce a elevare lungo un piano elegante, quelle suggestioni barbariche da fast-food che un po’ tutti noi abbiamo apprezzato. Almeno una volta nella vita.
Vitello Tonnato: Se con gli altri assaggi – non neghiamo – ci siamo sentiti dei piccoli campioncini delle stufe, con il vitel tonnè abbiamo resettato la spavalderia acquisita. Perché davvero chiunque riuscirebbe a concretizzare un piatto delizioso con un kit di questa valenza. Basta estrarre il vitello (cotto al punto perfetto di rosa) e scegliere se servirlo freddo o scaldarlo leggermente in acqua bollente con il suo jus di cottura (direttamente dal sottovuoto). Affettarlo secondo umore e manualità – “Io mi sono sbattuto a farlo sottile, ma anche se lo tagli erto è bono lo stesso” rimarca puntualmente il fotografo – e innaffiarlo con una salsa tonnata dalla formosità seducente. Si proprio quella che Blasetti ha spazzolato con il pane di RetroPane. Corredate l’impiatto con una selezione di insalate/erbe aromatiche dai contrappunti frizzanti e con una polvere di capperi disidratati a donare il giusto grado di salinità. Godete nell’applicazione del basico che diviene assoluto al palato. E se vi avanza la salsa – mi duole ammetterlo per incentivare la tesi del fotografo – spalmata sul pane caldo è un davvero un atto porno-culinario.
Plin ripieni di arrosto di cortile con jus di manzo e burro alla maggiorana: c’è un po’ tutta la tradizione dei ricettari italiani in questo format di RetroDelivery. Qui irrompe la grazia piemontese della pasta chiusa “al pizzico”, con una setoso farcia dalla muscolatura agreste. Deliziosi anche crudi (sì, li ho testati direttamente dalla scatola). Cottura minimale in acqua bollente e poi un bagnetto rigenerante nel fondo di manzo messo a restringersi in padella. Effluvi dal calore unico. Una lucidata suadente con burro alle erbe già montato e compattato (per una funzione di shock termico consigliamo di usarlo freddo di frigo/freezer). La classe essenziale di un agnolotto modellato a mestiere, con un pressing dalla profondità senza tempo.
Macco di Fave & Fagioli all’uccelletto: less is more, ma anche more is less. Spesso e volentieri. Due ricette iconiche del tessuto regionale italico, sono pronte al uso in un battito di ciglia. Anzi, in un bollore d’acqua che vi torna necessario per ritemprate il contenuto dei sottovuoti già encomiabilmente cotti e conditi. Noi ci siamo divertiti a spalleggiare le portate con alcuni degli snack presenti nel panel del nostro delivery: sfoglie di pancotto essiccato (saporitissime cialde) sbriciolate a cascata sopra le trame dense del macco di fave. Una giga-fetta di pane tostato (si può anche conservare in frigo sino a tre-giorni e rigenerare in pochi minuti di forno) da immergere con l’audacia di Bud Spencer dentro la corroborante vasca di legumi dagli umori toscani. Basta poco, pochissimo a riprodurre un ristoro di livello nelle mura domestiche. RetroBottega ha superato ogni aspettativa, con questo favoloso e inedito formato delivery.
Note in chat a margine
Io: “Alb, sono satollo e ho ancora il frigo pieno di verdure da cucinare. Però mo’ sto a rota di delivery. Bisogna programmare il prossimo lo sai?”
Alberto: “Eh anche io Lorè, almeno essendo in due qui riusciamo a smaltire un po’ più rapidamente. Ma ingredienti così belli non possiamo davvero sprecarli. Tocca ingegnarsi e fare un po’ meno i ciccioni del caso. Mangiamo sano per qualche giorno. Però si dai, programmiamo la prossima. Ho già qualche voglia d’asporto che fa capolino.
Io: “Spreco mai, a costo di fare overdose di asparagi, insalata e mele fino al prossimo ordine. Anche se ormai le tue modalità vogliose hanno preso il sopravvento. Sto leccando il sac à poche della salsa tonnata mentre ti scrivo”.
TO BE CONTINUED